• Articolo scritto da Adolivio Capece e tratto dal sito UNO SCACCHISTA in data 29 aprile 2025 – link: unoscacchista.com/2025/04/29/storia-degli-scacchi-fra-papi-preti-re-e-santi
Papa Giovanni Paolo I (Fondazione Vaticana)
Papa Francesco da ragazzino non giocava a scacchi, ma a dama, come ha dichiarato lui stesso una volta. Non c’è da stupirsene, viste le origini contadine della sua famiglia. La famosa Nonna Rosa conosceva il gioco della dama e con esso intratteneva i nipoti.
Ma Papi e preti sono stati fondamentali nella storia degli scacchi. Vediamo.
Anche se è documentato che Papa Gregorio VI (1045-1047) era scacchista, una delle prime testimonianze sul gioco degli scacchi in Italia è costituita da una lettera che San Pier Damiani, il santo anacoreta che Dante incontrerà in Paradiso, scrisse nell’ ottobre del 1061 a papa Alessandro II (Anselmo da Baggio, 1061-1073), scagliandosi violentemente contro il gioco, del quale chiese e ottenne la messa al bando. Pier Damiani informava il papa di aver scoperto il vescovo di Fiesole (allora ben più importante di Firenze) che a causa degli scacchi aveva totalmente trascurato i propri doveri religiosi: anzi lo aveva ‘beccato’ a giocare dimenticando che doveva dir Messa!
Che gli scacchi assorbissero in maniera eccessiva il clero era del resto noto e proprio in quegli anni era stata emanata una regola per i chierici di Spagna (dove maggiore era l’influsso della cultura islamica) secondo la quale non dovevano ‘perdere tempo’ giocando a scacchi.
Nella sua lettera al papa, la decima nella raccolta delle ‘Epistole’, Pier Damiani definisce il gioco degli scacchi disonesto, assurdo e libidinoso; inoltre gli scacchi vennero da lui abbinati ai dadi, che come gioco d’azzardo erano proibiti dalla Chiesa.
San Pier Damiani fu uno dei maggiori fautori della riforma operata da Gregorio VII (Ildebrando dei Graziani, 1073-1085). E’ considerato una delle figure di primo piano del secolo XI e con la sua parola impetuosa si scagliò contro la malvagità umana, contro l’antipapa Benedetto IX e combattè soprattutto contro i vizi del clero che a quell’ epoca si abbandonava troppo spesso e volentieri a cure ed interessi mondani. E a quanto pare il clero si dedicava, forse con eccessivo slancio, anche al gioco degli scacchi.
La condanna fu causata, come abbiamo detto, dal fatto che spesso a quei tempi in Italia si giocava con l’ausilio dei dadi: infatti gli scacchi erano considerati un passatempo bello ma lungo e quindi per evitare troppo lunghe riflessioni sulle mosse si pensò di designare il pezzo da muovere tirando i dadi, a prescindere dalla logica della posizione.
Così non solo si velocizzava la partita, ma si evitava che il più bravo vincesse sempre, cosa questa che permetteva e favoriva le scommesse. L’utilizzo dei dadi, tuttavia, favorì la concezione degli scacchi come gioco d’azzardo.
E poiché i giochi d’azzardo ed i giochi con i dadi erano vietati dalla Chiesa, ecco il divieto anche per gli scacchi, che erano in ogni caso visti con una certa diffidenza, poiché spesso tanto impegnativi da far spesso dimenticare obblighi più seri.
La condanna venne però superata da molti nobili con la ufficializzazione della netta differenza tra il gioco degli scacchi e il gioco dei dadi. Quanto al popolo, che pure continuò a giocare, non se ne fece troppo cruccio, anche perché i popolani avevano ben altri problemi materiali per preoccuparsi degli scacchi e quando volevano divertirsi preferivano farlo in maniera meno intellettuale.
Il popolo quindi non aveva molta voglia di occuparsi di argomenti speculativi e gli scacchi fecero un po’ la fine di altre arti e scienze ben più importanti, per esempio la letteratura, che come noto in quell’epoca non fu che una pallida eco delle fiorenti letterature d’Oltralpe.